

Il referendum di settembre sul taglio di un terzo della rappresentanza dei parlamentari è nella sua rude semplicità la traduzione operativa del motto demagogico grillino risuonato in tutte le piazze italiane per segnalare una presunta critica alle “elites” alle quali i 5 stelle si sono già ben omologati. Non a caso si tratta di un taglio lineare, privo di contenuto riformatore nei campi del sistema elettorale e del bicameralismo. I risparmi sono irrisori ed ininfluenti. Ciò su cui contano i promotori del Sì, compreso il PD, è solamente il senso di rivalsa della gente per le politiche inadeguate ed antipopolari dei governi e delle maggioranze parlamentari scaturite dall’ennesimo prodotto dell’ingegneria istituzionale borghese. Come dire che al popolo si indica il dito affinché non guardi la luna. L’eventuale taglio del numero dei parlamentari in seguito al referendum porterà inevitabilmente ad un drastico ridimensionamento della rappresentatività degli organi legislativi cacciando da quell’ambito importanti segmenti della società italiana e dei loro interessi, già inficiati da leggi elettorali escludenti in virtù dei meccanismi e dagli sbarramenti previsti. L’ultima riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari ha comunque salvaguardato alcune situazioni specifiche determinate dalla presenza di minoranze linguistiche a tutela internazionale. Infatti il taglio non riguarda il Trentino Alto Adige e la Val d’Aosta dove vivono popolazioni di lingua francoprovanzale, tedesca e ladina. Il Trentino Alto Adige, per esempio, avrà molti più parlamentari del Friuli Venezia Giulia con il doppio di popolazione. Inoltre il sistema elettorale di questa regione è completamente diverso di quello nostro e rispecchia il “Mattarellum” con circoscrizioni territoriali coincidenti con la suddivisione etnica della regione in modo da garantire l’elezione di deputati e senatori di lingua tedesca, ladina ed italiana. Per il Friuli Venezia Giulia che avrebbe, se passa la riforma, 4 senatori ed 8 deputati invece dei 7 senatori e 13 deputati attuali, dovrebbe valere la norma contenuta nella legge n.38 del 2001 concernente la tutela della minoranza linguistica slovena che prevede forme di agevolazioni per l’elezione di deputati e senatori sloveni. Una legge in vigore che però non viene rispettata, travisata attraverso sotterfugi assolutamente inutili come la creazione di una circoscrizione speciale nel territorio di insediamento della minoranza slovena, impossibile da realizzare tenuto conto del fatto che nella Venezia Giulia e nel Friuli orientale gli sloveni vivono frammisti alla maggioranza italiana. Anzi, spesso si dice che “il confine etnico passa spesso nei letti matrimoniali” da cui discendono famiglie miste. Non esiste nella nostra regione un “territorio sloveno” separato dalla maggioranza. La soluzione ci sarebbe, se il legislatore decidesse di dare al problema della rappresentanza slovena la dovuta attenzione. Considerando pure che la comunità italiana in Istria e nel Quarnero gode di seggi garantiti nei parlamenti di Lubiana e Zagabria. Gli sloveni d’Italia hanno avuto propri deputati persino nel parlamento prefascista, in periodo repubblicano invece la loro rappresentanza era stata garantita dal PCI e dalle liste di centrosinistra, compreso il PD. Ma pare poco probabile che ciò possa ripetersi, dato che alle ultime elezioni politiche la senatrice slovena è scaturita dal meccanismo della sostituzione in seguito all’elezione di Tommaso Cerno nella circoscrizione di Milano. Dal punto di vista tecnico sono possibili due soluzioni. In primo luogo il cosiddetto “sistema ladino” in vigore nella regione Trentino Alto Adige. Lì viene eletto il candidato espresso dalla comunità ladina che abbia avuto il maggior numero di voti individuali cui viene attribuito l’ultimo dei seggi disponibili, anche scavalcando altri candidati di maggioranza. Ciò è ovviamente fattibile laddove ci sia la possibilità di stabilire una graduatoria tra i candidati in base alle preferenze o altri metodi simili. Altrimenti sarebbe auspicabile che il sistema elettorale, prendendo spunto dal “Mattarellum”, prevedesse una circoscrizione elettorale lungo il confine, da Muggia a Tarvisio, con Trieste, Monfalcone e Gorizia che, per il numero degli elettori residenti, elegga due deputati ed un senatore. Per i deputati si dovrebbe prevedere la possibilità di scelta – simile al “recupero proporzionale” del Mattarellum – di un deputato appartenente alla comunità slovena. Ovviamente non si tratta di problemi di tecnica elettorale ma di volontà politica che invece manca del tutto. Non a caso le prime bozze del nuovo sistema elettorale si limitano a parlare di una circoscrizione sul territorio di insediamento della minoranza slovena assai opinabile e difficile da determinare. I comunisti non fanno parte del parlamento ed è difficile pensare che di questo problema possa farsi carico qualche parlamentare, con l’eccezione forse dei deputati altoatesini comunque attenti a non infastidire la maggioranza per conservare le proprie garanzie. Il problema è stato sollevato anche nell’ambito dei rapporti interstatali, anche negli incontri dei presidenti italiano e sloveno. Si tratta di capire se dal Quirinale verranno segnali adeguati al Governo ed al parlamento. Per ora tutto tace.
(sts)