Anche se la ripresa autunnale della pandemia Covid-19 sta diffondendo un certo panico tra i cittadini, una coscienza seria del pericolo che si corre ancora non c’è. Demerito certo anche della sceneggiata dei vari esperti che folleggiano su tv, giornali e Internet. Ma la disinformazione deriva anche dalla mancanza di cultura in cui viene tenuta la popolazione. Una descrizione in grado di informare sul quadro complessivo delle pandemie avvenute, in corso e future, si trova nel consistente lavoro, dal titolo “Spillover”, datato originariamente nel 2012, ben prima dell’esplodere del Covid-19, di David Quammen, noto e pluripremiato giornalista che pubblica su “National Geographic” e altre riviste. È un corposo resoconto storico sulle epidemie virali che hanno infestato la terra e sulle ricerche per individuarne origini, diffusione e ricerche di cure efficaci. “Spillover” è il termine col quale si indica il salto di un virus dall’ospite originario, un animale qualsiasi terrestre, selvatico, ad un ospite più domestico, quindi più a contatto con gli esseri umani, quando non addirittura, in base all’alimentazione seguita da taluni degli esseri umani, direttamente dal selvatico all’uomo. Tratto comune è l’incremento della popolazione umana, con i suoi comportamenti di sfruttamento senza riguardi della terra nel suo insieme, con la riduzione o sparizione di habitat e specie animali, che spinge i virus, tutti, a cercare nuovi ospiti, anche esseri umani, dentro i quali riprodursi, non necessariamente con effetti dannosi. Ma quando li hanno, sono devastanti. Si chiama “zoonosi” Nel racconto compaiono i resoconti di molte delle ricerche svolte e in svolgimento attorno a virus mortali più o meno conosciuti dal grande pubblico, come Ebola, influenze come la Spagnola del 19-21 del ‘900, l’asiatica del 1957, l’HIV (AIDS), l’Hendra australiano che arriva all’uomo dai cavalli, Marburg, Lassa HIV-1 e HIV-2, Nipah, febbre del Nilo occidentale, SARS e alcune altre. Gli elementi comuni al sorgere e diffondersi di tutte le epidemie sono, secondo Qammen, tre: il primo che le attività umane sono causa della disintegrazione di vari ecosistemi a un tasso che ha le caratteristiche del cataclisma. Negli ecosistemi in particolare delle foreste tropicali, vivono milioni di specie spesso sconosciute alla scienza, non classificate e poco comprese. Il secondo elemento è che tra i milioni di specie ignote, ci sono virus, batteri funghi e altri organismi, molti dei quali parassiti, che si moltiplicano nelle cellule dell’ospite e lungo la catena alimentare giungono all’uomo, non necessariamente dannosi. Il terzo elemento consegue direttamente dallo sfruttamento umano degli ambienti naturali, per cui la distruzione sempre più rapida degli ecosistemi comporta la comparsa di agenti patogeni in ambiti più vasti di quelli originali, agenti che hanno due sole strade: trovarsi una nuova casa, un nuovo ospite in cui sopravvivere, o estinguersi. Per individuare i virus che arrivano all’uomo e fanno danni, le ricerche sono lunghe e non sempre coronate dal successo della fabbricazione di un sistema di cura e prevenzione: il vaccino, appunto. In una ricerca sul percorso infettante dell’HIV (1 e 2), Quammen scrive una considerazione metodologica, relativa alle ricerche sull’HIV in Gabon alla fine degli anni ’80, molto attuale sul fatto che il test degli anticorpi per individuare indirettamente la presenza del virus (quale che sia) è un metodo rapido e comodo, ma impreciso. Nello scorrere le oltre 600 pagine del volume, ci si imbatte spesso nella descrizione di come l’espandersi dell’intervento umano negli ambienti naturali originari, a volte collegato al perdurare di usanze rituali o soltanto nutritive, dia luogo ad un trasferimento di agenti patogeni dagli esseri viventi non umani all’uomo, creando focolai di contagio fortunatamente non sistematici, ma a volte disastrosi per la salute umana. E non esiste, per ora ma forse mai, un sistema di individuazione degli agenti patogeni pericolosi contro i quali fabbricare la cura, magari preventiva, sufficiente a difenderci da tutti i virus attuali e futuri. I comportamenti di vita da tenere per ridurre, eliminare nel migliore dei casi, l’azione dei virus, possono funzionare se basati sulla convinzione a cambiare abitudini degli esseri umani coinvolti dagli effetti dei contagi, derivante dall’estendersi delle conoscenze sui pericoli che si corrono continuando con le vecchie abitudini, non con imposizioni forzate. Per ottenere che gli uomini imparino a badare a se stessi, servono necessariamente le lunghe ricerche scientifiche, ma solo se danno luogo ad una partecipazione sociale delle conoscenze ottenute con le ricerche. Questa mia convinzione di fondo ha trovato conferma dalla lettura del libro di Quammen.
Paolo Iacchia