ARCELOR MITTAL – UN GIOCO SPORCO

La vicenda di Arcelor Mittal dimostra in modo evidente la natura predatoria del capitalismo odierno.
Va subito ricordato, infatti, che Arcelor Mittal gestisce la più importante acciaieria italiana sulla base di un banalissimo contratto di affitto d’azienda con comodato degli impianti e delle strutture. Ovvero Arcelor Mittal non ha mai acquistato l’Ilva ma l’ha solo presa in affitto. E’ difficile quindi immaginare un affittuario disposto a investire massicciamente per il risanamento strutturale e ambientale degli impianti, che non sono suoi. L’affittuario si propone di trarre dagli impianti affittati il massimo profitto possibile, com’è del resto nella natura di qualsiasi impresa capitalista. Insomma, si tratta di mungere la mucca il più possibile finchè dà latte e poi, quando non ne dà più o ne dà poco, la si può macellare.
Di esempi simili se ne possono fare tanti. Si pensi alla Whirlpool oppure, qui da noi in Friuli Venezia Giulia, alla Ferriera di Servola a Trieste, che presenta (sia pure in dimensione minore) praticamente le stesse problematiche di Taranto.
E’ insomma del tutto evidente a chiunque voglia ragionare con un minimo di onestà intellettuale, che non è pensabile di affidare a qualsivoglia impresa privata il compito di salvaguardare contemporaneamente salute, ambiente ed occupazione. Questo compito se lo può assumere soltanto lo Stato, e dovrebbe farlo.
A questo punto è bene ricordare che l’art. 43 della Costituzione prevede espressamente la possibilità per lo Stato, Enti pubblici economici o comunità di lavoratori o utenti, di espropriare e nazionalizzare determinate imprese o categorie di imprese. La rilevanza strategica del polo siderurgico di Taranto rientra pienamente nella previsione dell’art. 43. Inoltre è sempre vigente l’art. 835 del codice civile che prevede la possibilità di requisire anche beni immobili ed aziende “per gravi e urgenti necessità pubbliche”. Si tratta dello strumento più volte utilizzato da Giorgio La Pira, sindaco DC di Firenze negli anni ’50-60, proprio al fine di evitare la chiusura di diverse aziende. Nel caso di Taranto probabilmente non sarà necessario, in quanto Arcelor Mittal vuole andarsene: se ne vadano pure!
Detto ciò, ben sappiamo quali potrebbero essere oggi le obiezioni di chi difende il pensiero unico liberista dominante: lo Stato è inefficiente e poi si andrebbe contro le normative europee.
Circa quest’ultimo argomento, credo si possa ribattere che le norme dei Trattati Europei non vietano che uno Stato membro riservi determinate categorie di imprese a sé stesso oppure partecipi al capitale di determinate imprese. Diversi Stati europei (come del resto faceva l’Italia fino agli anni ’90) gestiscono direttamente oppure partecipano al capitale di determinate imprese (l’esempio più famoso è probabilmente quello della francese Renault). Quello che le normative europee vietano sono le “distorsioni” della concorrenza attraverso “aiuti di Stato”. La gestione esecutiva delle normative europee da parte di una Commissione Europea iper-liberista è stata ed è certamente discutibile e criticabile e poi vi è la questione della moneta unica e dei vincoli di bilancio. Tutti fatti che spingono noi comunisti a ritenere non più riformabile l’U.E.. Tuttavia, a rigore, i Trattati Europei non vieterebbero la nazionalizzazione del polo siderurgico di Taranto. Ed anche se vi fosse qualche norma europea che smentisse questa tesi, andrebbe ribadito con forza che, come sa anche qualsiasi studente al primo anno di giurisprudenza, nella gerarchia delle fonti del nostro ordinamento giuridico, la Costituzione (art. 43 compreso) prevale e deve prevalere su ogni altra norma giuridica, anche di diritto internazionale, con l’unica eccezione di quelle “limitazioni di sovranità” (si badi bene, “limitazioni”, non “cessioni” di sovranità) che l’art. 11 della Costituzione stessa ritiene giustificabili al solo ed unico fine di assicurare “la pace e la giustizia fra le nazioni”.
Quanto alla seconda obiezione, circa la presunta inefficienza dello Stato, qui in Friuli Venezia Giulia ben conosciamo un’azienda a quasi totale proprietà pubblica (Fincantieri) che può certamente essere criticata per molti motivi, a cominciare dal rapporto con i propri dipendenti e poi per la sua politica degli appalti e subappalti, ora addirittura oggetto di un’indagine penale che merita la massima attenzione. E tuttavia, nonostante ciò, tale azienda di fatto pubblica, fa utili da molti anni ed è innegabile che rappresenti una realtà economica all’avanguardia anche tecnologica nel proprio settore produttivo (tanto che lo Stato le ha affidato, direttamente e senza gara, la ricostruzione del Ponte Morandi a Genova).
Infine, un’ultima considerazione. A parte il Movimento 5 Stelle (e noi), oggi tutti strillano e fanno atto di contrizione per l’eliminazione del cosiddetto “scudo penale” per i dirigenti di Arcelor Mittal. E’ vergognoso che si voglia cedere ad un simile ricatto. Pur senza conoscere nel dettaglio in cosa consista questo “scudo penale” che viene richiesto, non si vede per quale motivo un’impresa privata debba godere di una immunità penale che invece non viene concessa a tutti gli altri imprenditori. E poi non si possono dimenticare le centinaia, forse migliaia di morti riconducibili con sicurezza scientifica all’inquinamento provocato dallo stabilimento di Taranto. I dirigenti di Arcelor Mittal non c’entrano niente con le morti causate dall’inquinamento degli anni passati. Ma non è ammissibile che essi pretendano, pro-futuro, l’immunità per il caso che le loro omissioni e colpe causino domani nuove morti.
 
 
Avv. Ottavio Romano
Segretario regionale PCI-KPI