Che cosa ci ricorda la data del 10 febbraio 1947?

Con una legge voluta dalle destre e dai Democratici di sinistra in Italia ogni 10 febbraio si celebra la “Giornata del Ricordo”. Ricordo di che? La legge cita tre temi: il dramma delle foibe, l’esodo degli Italiani dall’Istria ed altre vicende del confine orientale.
 
In realtà delle “altre vicende del confine orientale” non si parla affatto. Anzi, si copre con gran clamore propagandistico di stampo anticomunista ed antislavo il dato di fatto che il 10 febbraio 1947 si era conclusa la conferenza di pace ed è stato firmato il Trattato di Pace tra 21 paesi della grande coalizione antifascista, vittoriosa nella Seconda guerra mondiale, e l’Italia che fu fascista ed alleata di Hitler fino all’8 settembre 1943 e solo dopo divenne “cobelligerante” per cui subì un trattamento diverso rispetto a quello della Germania, divisa in quattro zone d’occupazione da parte degli alleati (Francia, Gran Bretagna, USA ed URSS) o dell’ Austria divisa a metà tra alleati occidentali ed URSS fino al 1955.
         Il 10 febbraio dovremmo allora festeggiare il fatto che per l’Italia, grazie alla Resistenza antifascista, all’armistizio e alla cobelligeranza, non ci fu punizione, ma venne praticamente ammessa nel novero dei paesi democratici, malgrado la presenza degli alleati, americani in specie, con basi militari ed aeree.
         L’Italia non visse una propria Norimberga, ma fu trattata abbastanza bene. Certo, alla Conferenza di pace di Parigi perse i territori orientali che le furono promessi e poi consegnati dopo la prima guerra mondiale in virtù del Patto di Londra e della sua entrata in guerra contro l’Austria di cui era alleata. Così a Parigi nel 1947 perse l’Istria, le isole del Quarnero, Zara, il territorio sloveno fino al Nevoso ed il Tricorno. Perse inoltre alcune valli alpine al confine con la Francia e le colonie del Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Somalia) e la Libia. Per la Somalia ottenne un mandato amministrativo fino al 1960.
 
         Le vicende del confine orientale sono spesso descritte come la “Questione di Trieste”. Attorno alla sorte della nostra città ruotano pluriennali vicende militari, politiche, diplomatiche, locali ed internazionali.
         Vi fu da parte jugoslava la rivendicazione della revisione dei confini tracciati a Rapallo dopo la Grande guerra. I proclami del “parlamento partigiano” Avnoj riunitosi a Jajce in Bosnia nel 29 novembre 1943 e dei parlamenti partigiani sloveno e croato (SNOS e ZAVNOH) riguardavano il ripristino dei confini tra Italia ed impero austroungarico sull’Isonzo, con qualche correzione. Veniva invocato il “principio etnico” secondo il quale le città appartenevano al retroterra e valeva il principio della maggioranza etnica su scala regionale.
         Tito ne parlò con Churchill durante il suo incontro a Bari nell’agosto 1944 ed il premier inglese gli rispose: “L’Istria sarà vostra certamente, ma Trieste non ve la possiamo dare.”
         Perciò gli jugoslavi iniziarono la “corsa per Trieste” dove precedettero con la IV Armata ed il IX Korpus, seppur soltanto di 24 ore, gli Neozelandesi incontrati a Duino. Ciò fu possibile per l’insurrezione decisa a Trieste dal Comando cittadino e dagli armati di Unità operaia che presero il sopravvento sulle deboli e confuse forze del CLN che aveva prima espulso i comunisti.
         Ciò irritò gli alleati occidentali che costrinsero Tito a firmare l’accordo col generale Alexander a Belgrado ritirandosi da Trieste. In seguito il territorio conteso venne diviso in una zona A occupata dagli angloamericani e che comprendeva le provincie di Gorizia e Trieste e la città di Pola ed una zona B jugoslava che comprendeva la gran parte dell’ Istria, il Carso ed il retroterra goriziano.
         Nel territorio di Trieste gli angloamericani occuparono anche le zone carsiche da Comeno a Corgnale.
         Iniziarono così i preparativi per la Conferenza di pace di Parigi che durò più di un anno essendo iniziata nell’estate del 1946.
         Fu formata una commissione di cui fecero parte Mosely (USA), Waldock (GB), Wolfram (Fr) e Gerašenko (URSS) che visitò Trieste, Gorizia ed il Carso per verificare la situazione “in loco”. Vi passarono quasi un mese e furono accompagnati da manifestazioni popolari di vario genere. Ne sono testimonianza le scritte quasi indelebili su molte case dell’Altipiano e nella periferia cittadina.
         Nel frattempo ci su pure un tentativo di soluzione concordata tra Tito e Togliatti con la proposta di scambio assegnando Trieste all’Italia e Gorizia alla Jugoslavia.
         Durante la conferenza di pace presero la parola lo sloveno Kardelj, il sovietico Molotov, l’italiano De Gasperi, il francese Bidault ed altri. Furono interventi appassionati ma ciò che contava in realtà erano i colloqui riservati tra i capi delegazione.
         Furono elaborate diverse ipotesi di confine. L’URSS propose il confine sull’Isonzo, gli alleati occidentali invece delle linee che si avvicinavano o discostavano dalla “linea Morgan”. Non se ne usciva.
         Gli jugoslavi proposero per Trieste uno status speciale di “porto internazionale” e di settima repubblica federale. Ciò ispirò l’idea del TLT, stato cuscinetto tra i due contendenti, con la tutela del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
         Kardelj inizialmente rifiutò ma Molotov gli chiese freddamente: “Ma da voi ogni provincia deve avere il proprio porto?” Facendogli capire che l’URSS non era disposta a fare una nuova guerra per Trieste.
         Il Trattato di pace stabilì pertanto i confini del TLT, cedendo alla Jugoslavia la fascia carsica ed il territorio accanto a Gorizia. Venne scritta anche la Costituzione del TLT, ma esso sarebbe nato soltanto con la nomina del governatore, che era di pertinenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU. L’accordo per il nome non venne trovato mai anche perché si capì ben presto che il TLT era soltanto un escamotage per lasciar decantare e stabilizzare la situazione. Del resto, gli alleati occidentali firmarono ben presto la “dichiarazione tripartita” secondo la quale Trieste dovrebbe appartenere all’Italia. La Jugoslavia intanto perse il sostegno sovietico, specie dopo lo scontro del Cominform e la rottura tra Tito e Stalin.
         La costituzione del TLT venne auspicata dai comunisti (stalinisti e titoisti), dagli indipendentistri e dagli sloveni. Gli altri partiti italiani si espressero per l’appartenenza di Trieste all’Italia promuovendo manifestazioni e, nel novembre 1953, disordini con morti e feriti. Intanto da Roma cospicui finanziamenti affluivano nelle casse delle bande fasciste che avevano il compito di tenere alta la tensione nella città. Tra le vittime di queste scorribande vi fu anche la 11-enne Emilia (Milka) Passerini Vrabec, uccisa da una raffica di mitragliatrice durante una festa da ballo nel circolo di cultura popolare vicino all’ospedale militare.
         Nel frattempo si compiva anche la tragedia degli operai monfalconesi che partirono per la Jugoslavia (Pola e Fiume) per “aiutare a costruire il socialismo”, ma furono travolti dallo scontro del Cominform e perseguitati duramente, molti con la deportazione nel famigerato Goli Otok.
         Il 5 ottobre 1954 dopo trattative segrete venne firmato a Londra il Memorandum d’intesa tra Jugoslavia, Italia, Gran Bretagna ed USA per cui l’amministrazione civile angloamericana della zona A del TLT passò all’Italia. Vi furono piccole modifiche del confine con la zona B, con il passaggio alla Jugoslavia di Škofije (Albaro Vescovà), Crevatini ed altri villaggi sopra Muggia.
         Se il trattato di pace del ’47 consentì opzioni di cittadinanza e trasferimenti di popolazione, per cui presero la via dell’esilio molti abitanti di Fiume, Pola e delle cittadine istriane, dopo il Memorandum vi fu un ulteriore ondata di opzioni da parte della maggioranza della popolazione italiana delle cittadine costiere della zona B (Capodistria, Isola, Pirano). In seguito a ciò mutò anche la composizione delle popolazioni delle città di Trieste e Gorizia.
         Nella provincia di Trieste venne attuata anche una “bonifica etnica” con la creazione di un “corridoio italiano” tra la città di Trieste fino a Monfalcone. Vennero costruiti villaggi per esuli istriani a Campo Romano e Villa Carsia (Opicina), Borgo san Nazario (Prosecco), Santa Croce, Borgo san Mauro (Sistiana), Villaggio del pescatore (Duino). Allo scopo vennero effettuati massicci espropri, mentre i sindaci dei comuni minori che vi si opponevano, venivano destituiti e sostituiti con commissari prefettizi che firmarono i necessari permessi.
         Il Memorandum di Londra venne ratificato dal parlamento di Belgrado, ma non da quello italiano che ne fece solo una presa d’atto considerandolo un documento provvisorio ritenendo ancora in vigore la sovranità italinaa sulla zona B. Un inganno a scopi elettorali, specie da parte della DC, che a volte per tener viva la questione fece scoppiare anche incidenti diplomatici. Come la nota di protesta del ministro degli esteri Aldo Moro contro l’apposizione di un cartello con la scritta “Jugoslavia” al confine di Albaro Vescovà. Vi furono reazioni in Jugoslavia, manifestazioni studentesche, anche se Moro sapeva benissimo che in segreto si stava già scrivendo il Trattato di Osimo che avrebbe definitivamente risolto il problema dei confini.
         A Trieste in quegli anni vi fu’, per certi versi, un boom economico commerciale. Il porto non temeva la concorrenza del nuovo porto di Capodistria, finanziato anche in seguito al Memorandum di Londra, con un centinaio di milioni di dollari. Venne firmato l’accordo di Udine che introdusse i lasciapassare che consentivano il libero passaggio di frontiera. Trieste veniva invasa settimanalmente da decine di migliaia di acquirenti jugoslavi e lo stesso avveniva nei negozi e dai benzinai di oltreconfine.
         Venivano invece smantellate le storiche industrie triestine legate al mare, a partire dai cantieri navali, dall’arsenale ed alla fabbrica macchine… Venivano chiuse fabbriche in cui nacquero nella primavera del ’45 i battaglioni di Unità operaia ed in cui il PCI era ben radicato.
         Il Trattato di Osimo del 1975 risolse definitivamente il problema dei confini orientali dell’Italia e rappresenta pertanto la conclusione della vicenda iniziata a Parigi nel ’47. Rimangono aperte molte opportunità ivi previste, come la costituzione dei punti franchi anche ad uso industriale.
         Sia il Trattato di pace del ’47 che il Memorandum del ’54 ed il Trattato di Osimo del ’75 prevedevano anche il riconoscimento dei diritti alla minoranza slovena in queste terre passate all’Italia.
         Ma l’eredità di tensioni nazionalistiche fomentate anche dalle autorità locali e nazionali fece si che una legge sui diritti della minoranza slovena sia stata approvata, dopo lunghe battaglie sostenute in primo luogo dal PCI, appena nel febbraio 2001 ed ancora oggi non viene attuata nella sua interezza.
         Comunque va riconosciuto che il clima generale è mutato con gli anni, anche se non tutti i cambiamenti possono dirsi positivi. L’odio per gli sloveni è stato in molti casi dirottato verso i migranti ed il razzismo fa capolino anche nella minoranza che ne fu per lunghi anni vittima.
         Ora la disgregazione sociale e morale fa emergere di nuovo fenomeni di odio etnico e ne sono di nuovo portatori le forze di destra, non solo fasciste.
            Ma è un fenomeno europeo, ormai.
Stojan SPETIČ