CILE 11 settembre 1973

Quanto è amaro l ricordo di quella giornata di settembre in cui abbiamo visto in diretta tv gli aerei golpisti bombardare la Moneda, palazzo in cui morì in combattimento il presidente socialista Salvador Allende dopo aver liberato la propria guardia del corpo decidendo comunque di rimanere al proprio posto. Poi i carri armati per le strade, gli arresti di giovani e donne, operai e studenti, ed infine la faccia truce del traditore per eccellenza, il generale Augusto Pinochet. Bugiardo come testimonia persino il suo cognome (Pinocchio).
 
Avevamo sperato nell’esperimento di Unidad popular come testimonianza di una via democratica, parlamentare, al socialismo con una coalizione plurale ed un’opposizione leale… 
Ebbi modo qualche mese prima di incontrare a Trieste il presidente della DC cilena Radomiro Tomich, dalmata, i cui nonni vivevano ancora a Spalato e lui ci passava le vacanze. Parlammo di Allende e lui mi disse che il suo programma gli piaceva, ma il suo partito non poteva condividerlo del tutto. Gli sarebbe piaciuto discuterne e cercare dei compromessi, ma l’ala dura guidata da Frei e dai vescovi cileni glielo impediva.
Il golpe che costò la vita a migliaia di cileni, perseguitati persino all’estero se vi si erano rifugiati, venne organizzato e diretto dalla CIA, lo riconobbe apertamente Kissinger, premio Nobel per la pace… 
Gli eventi cileni suscitarono un’ ondata di indignazione e di solidarietà. Il gruppo musicale Inti Illimani si trovava in Italia per il festival nazionale dell’Unità e così si salvò, mentre a Victor Jara strapparono le unghie nel famigerato stadio di Santiago. 
Nel PCI si discusse molto, anche perché c’era stato pochi anni prima il colpo di stato dei colonnelli in Grecia, ispirato dalla NATO. Nella FGCI riprendeva con forza la rivendicazione di uscita da quest’alleanza che comprendeva anche il Portogallo del fascista Salazar con le sue guerre africane. 
Enrico Berlinguer, da poco eletto Segretario su indicazione di Luigi Longo, pubblicò su Rinascita settimanale una serie di articoli intitolati “Riflessione sui fatti cileni” da cui trasse alcune conclusioni importanti. Secondo lui il golpe cileno era la dimostrazione che non basta avere una maggioranza parlamentare per governare ed avviare una trasformazione di tipo socialista della società italiana. Ci voleva di più. Alleanze sociali ed un’opposizione leale. Per consolidare il regime democratico disegnato dalla Costituzione ci volevano tutti e Berlinguer propose un compromesso storico tra le forze comuniste, socialiste e cattoliche che mobilitavano la gran parte del popolo italiano. Un compromesso sull’attuazione della Costituzione, sulle principali riforme e sul rapporto democratico tra alleati ed opposizione. 
Si sa che le tesi di Berlinguer suscitarono una vivace discussione, molti si dissero contrari al compromesso storico, anche per il suo nome esplicito di compromesso. Molti – specie gli avversari – banalizzarono le riflessioni riducendole ad una proposta di governo PCI-DC, cui seguì la strategia del terrorismo “rosso” e l’assassinio di Aldo Moro. 
Nel PCI serpeggiava il timore di una sovversione fascista che coinvolgesse anche i militari. L’URSS fornì al PCI radio trasmittenti in grado di permettere comunicazioni rapide tra nord e Sud, tra centro dirigente e periferia nel caso di una necessaria resistenza. Non ci si doveva trovare impreparati ed a molti risuonarono nella memoria le parole di Luigi Longo in Piazza del popolo qualche anno prima: “Se necessario il popolo italiano sa dove trovare le armi per difendere la democrazia.”
A Trieste si discusse di Cile, di compromesso storico, dei tentativi di golpe. Vittorio Vidali espresse anche qualche giudizio critico sulla vicenda cilena. Per lui aveva sbagliato Allende, socialista e massone, a fidarsi delle forze armate e di quel fellone di Pinochet che egli stesso aveva nominato a comandate in capo, credendo nella sua lealtà alla Repubblica ed al suo presidente. Altro sbaglio del suo governo fu il non aver ascoltato il consiglio di Fidel Castro di distribuire armi ai lavoratori delle fabbriche e delle miniere e, se necessario, a tutto il popolo. 
Infine si doveva riflettere sull’inutilità delle “frasi scarlatte” di cui si riempivano la bocca i socialisti ed i membri del MIR in Cile, che arrivavano ad accusare di moderatismo i comunisti di Luis Corvalan. La politica delle alleanze così si restringeva e si creavano troppi avversari dando loro argomenti e paure. 
Passarono molti anni. Ma l’immagine di quanto sia stato sostenuto il fascismo cileno rimane quella del papa polacco Giovanni Paolo II al balcone della Moneda spalla a spalla con Pinochet.  (sts)