LE VIE DELLA SETA Una diversa possibilità di sviluppo per il porto di Trieste.

     Sono ormai diversi anni, dal 2014-15, che i Cinesi parlano di quelle che definiscono quali “Nuove vie della seta”, in inglese “Belt and road iniziative” acronimo “BRI”, cioè una serie di infrastrutture terrestri, stradali e ferroviarie, e marittime, scali portuali attrezzati allo accoglimento delle più grosse portacontainer, con le ovvie capacità di carico scarico e manipolazione di merci, e naturalmente collegate con le infrastrutture viarie di cui sopra, tali da velocizzare e rendere capillare la presenza di merci cinesi su tutti i mercati, ma prevalentemente verso l’Europa.

Un iniziativa di questo genere potrebbe essere vista come una invasione da parte degli orientali sui nostri mercati per poi svilupparsi in una invasione strisciante della loro civiltà nella nostra cultura; tuttavia c’è da fare una considerazione: far viaggiare una nave o anche un convoglio ferroviario in una direzione per poi fare il percorso inverso a vuoto non è mai economico, per cui a fronte di un import dalla Cina ci deve essere un equivalente export dall’altra parte del terminale. Ad esempio l’Italia potrebbe puntare sul mercato dell’abbigliamento di qualità o sull’oggettistica artigianale, oppure anche sul mercato dei generi alimentari biologici a lunga conservazione, oggi non difficilmente producibili; queste merci non devono essere confuse con quei particolari prodotti che vengono definiti “generi di lusso tipici del Made in Italy”, voglio ripetere che questo comunque è solo un esempio.

     Questa lunga premessa mi è sembrata necessaria per capire come mai per il secondo anno consecutivo il “Limes Club” di Trieste in collaborazione con Fincantieri abbia organizzato alla Stazione Marittima un convegno su questo tema intitolato quest’anno: “Vie della seta e del ferro”, con la presenza tra gli altri di Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di Sistema del Mare Adriatico Orientale.
     Tra gli interventi interessante quello di un esperto di trasporti ferroviari che insegna presso l’Università di Vienna che dopo aver fatto una breve storia dei trasporti ferroviari che collegavano Trieste all’Europa centrale ha detto che attualmente è molto difficile che in breve tempo si possano concretizzare le possibilità di trasporto verso il centro del continente via rotaia dal Pireo, porto nel quale fin dal 2008 una compagnia marittima cinese la Cosco Lines ha la concessione di una banchina, concessione raddoppiata dal governo Tsipras nel 2015. Le possibilità di sviluppo ferroviario e autostradale attraverso i paesi balcanici, ha detto l’esperto, sono estremamente ridotte causa la carenza di fondi nazionali e la litigiosità tra i vari Stati della regione, quindi per Trieste possono aprirsi ampi spazi di opportunità visto l’attuale stato dei trasporti ferroviari di merci che sono stati liberalizzati dalla legislazione della UE e infatti sono gestiti quasi nella totalità da attori non nazionali.
     L’intervento di D’Agostino è stato incentrato sulla modifica dei rapporti di lavoro all’interno dello scalo e appunto sulle possibilità di ulteriore sviluppo dei traffici in tutte le direzioni, visto l’attuale dinamismo della direzione del porto rispetto alle gestioni precedenti volte soprattutto al mantenimento delle posizioni di rendita consolidate. A questo proposito è stato fatto anche un accenno ai manifesti fatti affiggere dal senatore Camber sui muri della città, ribadendo il fatto che in base alle leggi italiane solo chi sia autorizzato può operare all’interno degli spazi portuali, e sottoponendosi alla legislazione italiana sul lavoro.
     Tra gli interventi a margine veramente rimarchevole quello del professore di lingua mandarina (cinese) presso l’istituto superiore Petrarca che ha detto che se non c’è sviluppo non ci sarà un futuro di lavoro in questa città per i nostri figli, notando che adesso anche i suoi bambini studiano qui.
     Come detto in precedenza l’importanza di questo convegno è dovuto alle possibilità di sviluppo della struttura portuale della città e quindi del suo futuro per invertire l’attuale tendenza al depauperamento economico e demografico ed in prospettiva anche a quello culturale, non basta essere il capoluogo regionale ed avere velleità di divenire una specie di “Silicon Valley” nazionale.
     Come comunisti siamo dell’opinione che non sia la povertà motore del cambiamento sociale ma uno sviluppo che con il lavoro per tutti porti migliori qualità della vita e consapevolezza dei propri diritti, questo e non le elemosine o le chiusure municipalistiche.
     Se l’argomento ha suscitato interesse nei lettori riporto anche il sito dove si può trovare il report dell’evento:< https://www.facebook.com/limesonline/videos/2265524867055010/ >
 
     P.S. In questi ultimissimi giorni l’argomento delle “Nuove vie della seta” sta provocando un vivace dibattito sulla stampa nazionale e locale poiché gli USA si sono detti contrariati dalla possibile adesione italiana all’iniziativa cinese. Questa contrarietà è dovuta alla volontà dello Stato cinese, che per Trump rimane fondamentalmente “comunista”, di contrastare l’egemonia americana sullo scacchiere internazionale, e quindi qualunque apertura a quello che adesso è diventato il nuovo nemico risulta essere un crimine di lesa maestà al potere degli Stati Uniti, estremamente presi nel ruolo autoproclamato di guardiani della sicurezza del pianeta e gendarmi dell’iniziativa privata, quindi mai statale, e del “libero mercato” di cui solo gli USA possono dettare le regole e decidere chi siano gli attori oltre a quelli da loro scelti.
     La politica cinese di prestiti agevolati per le infrastrutture viene vista dalla presidenza degli Stati Uniti come un cavallo di Troia per mettere sotto controllo la direzione politica dello stato a cui vengono concessi e gli americani paventano anche risvolti sociali dalla presenza di lavoratori cinesi nei paesi destinatari perché questi lavoratori sono tutti “comunisti” e quindi contageranno i lavoratori indigeni con cui entreranno in contatto.
     Un mondo multipolare non è quello che gli americani auspicano e quando non hanno un nemico reale lo inventano, come stanno facendo in Venezuela col presidente Maduro, oppure a costo di insegnargli il mestiere di terrorista lo creano, come successe a suo tempo con Bin Laden.
     Con questo chiudo, tuttavia l’argomento diviene di giorno in giorno più interessante ed intricato per cui presumo che ci risentiremo presto.
 
  Tullio Santi