L’incendio del “Balkan”

Il modo indegno con il quale vengono trattati vari momenti della storia di Trieste del XX secolo, ci richiama al dovere di conservare la memoria di ciò che realmente accadde tanti anni fa. In occasione delle cerimonie che si terranno il 13 luglio, proponiamo una pagina del libro “Bora scura” scritto dal compagno Leandro Lucchetti, chiedendo a chi ci legge, di partecipare con il proprio contributo alla discussione che qui apriamo.

Verso sera scoppiò d’improvviso una sparatoria, vicinissime rimbombarono scariche di fucileria e si sentirono anche dei gran botti, come di esplosioni di bombe; il tutto sembrava provenire proprio dall’Hotel Balkan.

Mamma Dina, preoccupata per il marito, strattonò Loris per le spalle e lo guardò minacciosa negli occhi:
– Non ti azzardare a muoverti da qui! – gli ordinò in italiano scandito, come faceva quando voleva sottolineare quel che stava dicendo.
Lo lasciò e uscì in fretta dal piccolo appartamento. Loris attese qualche minuto e poi uscì anche lui, per nulla al mondo si sarebbe perso quel che stava succedendo.
In strada si accodò subito a un gruppo di muli che correvano verso il Balkan. Davanti all’edificio c’era una gran confusione, c’erano gli squadristi che si aggiravano furenti, c’erano spettatori che discutevano, c’era un’ambulanza che stava caricando dei feriti. Tutti parlavano, tutti gesticolavano, i Carabinieri si aggiravano con l’aria di chi non sa cosa fare. Loris ascoltava tutte le voci, tutti i discorsi e da quel che sentiva capì che quando gli squadristi avevano tentato di far irruzione dentro l’Hotel Balkan, nonostante fosse protetto dai Carabinieri, qualcuno dall’interno aveva iniziato a sparare ed erano anche state tirate delle bombe a mano. Il sottotenente che comandava il reparto dei Carabinieri era stato gravemente ferito e i militi avevano risposto al fuoco sparando contro l’edificio che invece avrebbero dovuto difendere.
– I nascondeva armi là dentro, altro che casa de cultura! – sentì che dicevano.
C’era una gran confusione mentre l’ambulanza partiva e il suono lacerante della sirena sembrava ferire ed eccitare di più gli animi.
Alcuni squadristi approfittarono del momento per irrompere nell’atrio dell’hotel e gettare delle bombe incendiarie. Ci furono delle esplosioni e subito divamparono le fiamme, tra urla ed esclamazioni.
– I ghe da fogo…i ghe da fogo!
– Sì, brusèli tuti ’sti s’ciavi!

Gente uscì di corsa dall’edificio e gli squadristi l’accolsero a pugni e calci mentre i Carabinieri ne bloccavano altri cercando di capire se avessero armi addosso. Loris guardava affascinato la scena, le fiamme, il fumo, i pestaggi. E infine vide distintamente suo padre che entrava nell’hotel con una bomba incendiaria in mano, sentì lo scoppio e poi lo vide uscire trafelato e soddisfatto mentre le fiamme si alzavano più alte.
Ben presto da tutte le finestre uscirono lembi di fiamme, a Loris sembrò la raffigurazione dell’Inferno che aveva visto in un libro, il fumo nero faceva tossire e lacrimare.
– I xe vegnudi fora tuti quei che iera drento? – chiese qualcuno.
Arrivarono con grande clangore due autobotti dei pompieri. La folla fece largo. I pompieri srotolarono le pompe e azionarono i getti d’acqua ma subito gli squadristi con pugnali e coltelli si avventarono sui manicotti e cominciarono a tagliarli in modo da provocare perdite d’acqua per disperdere il getto e impedirne l’efficacia. Le fiamme divennero più alte e feroci.
Loris vide di nuovo suo padre: stavolta era chino su un manicotto e con determinazione lo tagliava con un coltello. Papà Leonello, il volto sudato e sporco di fuliggine, alzò lo sguardo e riconobbe il figlio. Allora gli sorrise, gli sorrise di un sorriso contento e maligno che Loris non avrebbe mai più dimenticato.
Un urlo sconvolse la folla, un tonfo tremendo sul selciato agghiacciò il sangue: qualcuno rimasto intrappolato nell’edificio, nel tentativo di salvarsi, si era buttato dalla finestra. Loris alzò lo sguardo e vide una ragazza che saltava e si schiantava a terra.
Poi una scarica di sberle lo frastornò. Sentì la voce di sua madre che strillava rabbiosa mentre lo colpiva:
– Che ce fai tu qua! Non t’avevo detto de nun te move? Devi ubbidì quando te dico qualcosa! Fila subito a casa che poi famo i conti!
Quando era arrabbiata, e succedeva spesso, la madre parlava come si parla a Roma.
Umiliato davanti ai muli che lo guardavano Loris corse via.